Lo scorso 16 febbraio siamo stati auditi dalla Commissione Antimafia Regionale. Un’occasione importante di confronto, che ci ha visti presentare ai Consiglieri i contenuti di questa memoria che, senza pretesa di esaustività, ricostruisce quanto accaduto negli ultimi cinque anni in Liguria nel contrasto alle organizzazioni mafiose, seguendo due direttrici principali: quella dei processi penali e quella dei beni confiscati. I primi sono utili e necessari indicatori per smentire chi ancora nega o sottovaluta il fenomeno. I secondi, oltre a segnalare gli investimenti immobiliari e aziendali della criminalità organizzata, sono uno stimolo a intervenire anche nell’attività di promozione di una cultura della legalità democratica attraverso il riuso degli spazi. Inoltre, un breve approfondimento riguarda il porto di Genova che, insieme agli altri scali liguri, sta rappresentando un luogo di operatività per le mafie, soprattutto in termini di traffici illeciti. In conclusione, abbiamo condiviso con la Commissione anche alcune proposte, già oggetto di confronto pubblico durante l’ultima campagna elettorale: buona lettura!
Mafie in Liguria da ponente a levante nel quinquennio 2015-2020
Ventimiglia e Bordighera terra di ‘ndrangheta
Fino a pochi anni fa l’unica sentenza che aveva confermato la presenza della ‘ndrangheta nella nostra regione era quella con cui, il 7 ottobre 2014, il Tribunale di Imperia aveva riconosciuto, all’esito del procedimento denominato “La Svolta”, l’esistenza di due locali di ‘ndrangheta, una a Ventimiglia e una a Bordighera, con sedici condanne per associazione mafiosae pene sino a 16 anni. Si tratta, in questo caso, di un sodalizio “operativo”, che poneva in essere molteplici reati (estorsioni, minacce, incendi dolosi, cessione di sostanze stupefacenti) con il tipico metodo mafioso. Nonostante l’interferenza nelle consultazioni elettorali, venivano invece assolti, poi in via definitiva, i sindaci delle due cittadine del ponente.
Il 10 dicembre 2015 la Corte d’appello restituiva poi una visione “dimezzata” della ‘ndrangheta: a fronte della sostanziale conferma delle condanne dei membri del locale di Ventimiglia, tra cui esponenti della famiglia Marcianò, assolveva tutti i membri delle famiglie Pellegrino-Barilaro appartenenti al locale di Bordighera.
La Corte di Cassazione, nel 14 settembre 2017, per la prima volta accertava con sentenza definitiva il radicamento organico della ‘ndrangheta nella nostra Regione, in particolare a Ventimiglia, confermandone le condanne. La Corte annullava, invece, le assoluzioni dei bordigotti. Questi ultimi, a seguito di un ulteriore processo, vengono condannati dalla Corte d’appello il 25 gennaio 2019, con una sentenza che viene poi confermata il 25 gennaio 2020 dalla Corte di Cassazione, scrivendo così la parola fine al processo “La Svolta” e riconoscendo definitivamente la presenza di due articolazioni di ‘ndrangheta: i locali di Ventimiglia e Bordighera.
Nel settembre 2020, tredici persone in Italia e trentatrè in Francia vengono raggiunte da misura cautelare nell’ambito una nuova operazione – denominata, “Ponente Forever” – che conferma il ruolo della ‘ndrangheta nel traffico internazionale di droga e nell’assistenza ai latitanti tra il ponente ligure e la Costa Azzurra: tra gli arrestati figura anche Carmelo Sgrò, calabrese residente ad Imperia, imparentato con soggetti appartenenti alla cosca Gallico.
Provincia di Savona: ‘ndrangheta sotto processo
A Savona, invece, i procedimenti giudiziari sono ancora in corso. Sebbene il Tribunale di Savona non abbia mai processato esplicitamente un sodalizio per mafia, quella provincia vanta una storica presenza criminale, per esempio di alcuni membri della ‘ndrina Raso-Gullace-Albanese, e non si può ritenere affatto estranea a fenomeni di infiltrazione mafiosa. Negli ultimi anni, anzitutto, si sono celebrati numerosi procedimenti per reati-satellite a carico di soggetti ritenuti intranei alle cosche ed attinti da successivi accertamenti di carattere spiccatamente antimafia. Si fa riferimento, ad esempio, ai processi per usura, estorsione, intestazione fittizia nei confronti di appartenenti alla famiglia Gullace. Uno di questi, insieme ad altri numerosi soggetti residenti in Liguria (attivi da anni nel savonese nei settori dell’edilizia e del movimento terra, nell’usura e nel riciclaggio di denaro sporco) è stato arrestato nuovamente nel giugno 2016 nell’ambito dell’operazione “Alchemia”, condotta dalla Procura di Reggio Calabria e volta, insieme ad altri importanti indagini, a smascherare il gotha politico-affaristico della ‘ndrangheta, che aveva concreti interessi per alcuni subappalti del Terzo Valico.
Il 10 febbraio 2018 Fabrizio Accame è stato condannato, in giudizio abbreviato, a 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa, condanna confermata in appello con un leggero “sconto” di pena.
Nell’agosto del 2019, gli stessi soggetti coinvolti dall’operazione Alchemia sono stati colpiti da ingenti sequestri disposti dalla DIA di Genova e relativi a beni mobili, immobili, quote societarie e conti correnti.
La sentenza di primo grado degli imputati processati con rito ordinario è invece arrivata lo scorso 18 luglio 2020; il Tribunale di Palmi ha condannato per associazione mafiosa Carmelo e Francesco Gullace, rispettivamente, a 18 anni e a 15 anni di reclusione, ritenendoli i boss della locale. Sono stati invece assolti coloro che l’impianto accusatorio aveva identificato quali semplici “partecipi” dell’associazione.
La ‘ndrangheta… anche a Genova
Una conclusione giudiziaria si è raggiunta anche a Genova. Nel 2015 avevamo assistito ad una sola pronuncia della magistratura sulla presenza della ‘ndrangheta nel capoluogo ligure, precisamente la sentenza con la quale il Tribunale di Genova aveva, in primo grado, assolto tutti gli imputati, accusati a vario titolo di far parte delle locali di ‘ndrangheta di Genova, Ventimiglia e Sarzana nell’ambito del cd. procedimento “Maglio 3”, riconoscendo l’appartenenza degli imputati alla ‘ndrangheta, ma non una loro operatività.
Da allora la realtà storica e processuale è notevolmente mutata. Se in un primo momento, il 19 febbraio 2016, la Corte d’Appello genovese aveva confermato tale sentenza assolutoria – ritenendo “impossibile anche solo sul piano naturalistico che un’associazione mafiosa non si manifesti all’esterno” e che “le indagini hanno rivelato un mondo totalmente autoreferenziale, dove si disquisisce in modo causidico delle regole e si rimpiange il passato” – la Corte di Cassazione il 4 aprile 2017 ribaltava il verdetto consolidatosi in appello, annullando con rinvio la sentenza di secondo grado e ritenendo che la ‘ndrangheta presente nel capoluogo genovese potesse ricondursi a quel tipo di “mafia silente” che si avvale “di quella forma di intimidazione, per certi aspetti ancora più temibile, che deriva dal non detto, dall’accennato, dal sussurrato, dall’evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere”.
A tale principio si è quindi conformata la Corte d’appello genovese che, il 18 aprile 2018, ha pronunciato sentenza di condanna per nove imputati su dieci per pene sino a 7 anni e 9 mesi (in abbreviato), evidenziando come non siano affatto necessarie manifestazioni eclatanti della mafiosità del sodalizio o la commissione di reati-fine, bensì sia sufficiente che la capacità intimidatoria della consorteria sia potenziale, essendo ben possibile che l’organizzazione mafiosa preferisca adottare modalità di azione più subdole e silenti, ma non per questo meno pericolose.
Lo scorso 28 ottobre 2020, quindi, la Corte di Cassazione ha messo la parola fine al processo “Maglio 3”, confermando la sentenza di appello bis e riconoscendo definitivamente la presenza della ‘ndrangheta anche nel capoluogo di regione. A dicembre, infine, uno dei due politici accusati di corruzione aggravata dal metodo mafioso ha patteggiato a 18 mesi di reclusione mentre l’altro ha scelto di affrontare il processo.
Presenze mafiose nel Tigullio: la ‘ndrangheta a Lavagna
Anche Lavagna è stata profondamente scossa da vicende giudiziarie sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta. Infatti, lo scorso 7 giugno 2019 il Tribunale di Genova ha condannato gran parte degli imputati del processo “i Conti di Lavagna”, riconoscendo la presenza di una locale di ‘ndrangheta nella cittadina del Tigullio ed una fitta rete di rapporti tra la stessa e gli esponenti dell’amministrazione comunale di allora colpendo così, per la prima volta nella storia giudiziaria ligure, non solo i mafiosi di origine calabrese – riconducibili alla famiglia Nucera-Rodà e strettamente legati alla ‘ndrina Rodà-Casile di Condofuri (RC), tanto da sostenere logisticamente ed economicamente le famiglie dei detenuti di ‘ndrangheta – ma anche i politici liguri, ritenuti colpevoli di aver accettato pacchetti di voti in cambio di favori economici alle cosche in occasione delle elezioni amministrative del 2014. Peraltro, il Comune di Lavagna era stato, nel 2016, immediatamente commissariato per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali ed infine sciolto nel 2017 con decreto del Presidente della Repubblica per condizionamento mafioso.
Al contrario di quanto accaduto in “Maglio 3”, i giudici ritengono che “la locale lavagnese non è riconducibile alla categoria delle “mafie silenti”, essendosi manifestata con numerosi e gravi “reati fine”. Infatti, sono molteplici i reati riconosciuti dal Tribunale, oltre all’associazione mafiosa: il traffico illecito dei rifiuti, il traffico di armi, il traffico di sostanze stupefacenti, la gestione di attività economiche e commerciali, episodi di usura ed estorsione, ma soprattutto le corruzioni elettorali con gli allora candidati alle elezioni, poi effettivamente eletti, cui seguirono – quale contropartita – diverse ipotesi di abuso d’ufficio, aggravate dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta.
In primo grado vengono pertanto condannati complessivamente quattordici imputati, tra cui l’allora sindaco e un’ex deputata, con pene sino a 16 anni e 9 mesi. Lo scorso 26 giugno 2020 le condanne vengono nella quasi totalità dei casi confermate, con qualche leggera rideterminazione di pena, dalla Corte d’appello genovese. La sola rilevante novità attiene alla dichiarazione di nullità del capo di imputazione nei confronti dell’ex parlamentare, con conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero il quale ha riformulato il capo di imputazione e, nelle scorse settimane, ne ha richiesto nuovamente il rinvio a giudizio insieme all’ex primo cittadino ed al suo vice.
Presenze a Levante: il caso di Sarzana
Nell’estremo levante ligure la situazione è profondamente diversa. Per quanto concerne la presenza della ‘ndrangheta a Sarzana, di cui diverse fonti istituzionali hanno dato conferma (Direzione Nazionale Antimafia, Commissione Parlamentare Antimafia, Direzione Investigativa Antimafia), non vi sono riconoscimenti da un punto di vista del processo penale. Sarzana è stata coinvolta nel succitato procedimento “Maglio 3” nel quale, tuttavia, l’unico imputato accusato di far parte della locale di ‘ndrangheta presente a Sarzana, composta dalla famiglia Romeo-Siviglia, è stato l’unico soggetto assolto anche nel secondo appello.
Nonostante l’esito di questo processo, altri procedimenti giudiziari relativi a misure di prevenzione hanno visto la provincia spezzina protagonista, che è risultata essere luogo in cui la ‘ndrangheta – e non solo – ha reinvestito proventi di natura illecita nell’economia legale.
Beni immobili confiscati: uno sguardo d’insieme
L’altro indicatore utile per fotografare la presenza criminale in Liguria sono i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata. Nel 2014 (dati mappatura realizzata da Libera Liguria) questi toccavano le 142 unità: 116 risultavano ancora in gestione all’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati, 19 erano stati trasferiti nel patrimonio di comuni liguri, 4 erano stati mantenuti nelle disponibilità dello Stato, mentre 2 si segnalavano come usciti dalla gestione, con un solo bene destinato ma non consegnato. 93 di questi immobili erano classificati come appartamenti, contro 20 magazzini, 13 fondi commerciali, 5 terreni agricoli, 4 abitazioni indipendenti, 2 autorimesse, 2 appartamenti con box, una villa con terreni, un compendio artigianale e un box isolato. Tra questi immobili, solo 10 erano effettivamente riutilizzati (4 come abitazioni per indigenti, 3 come alloggi protetti, uno come magazzino, uno come ufficio e uno come esercizio commerciale).
All’inizio del 2021 gli immobili in gestione all’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati sono 294, dato a cui si aggiungono i 122 immobili che sono già stati destinati: il totale tocca quota 416, con un incremento in sei anni del 192%. 144 degli immobili ancora in attesa di destinazione si trovano nella provincia di Genova (83 nel solo comune capoluogo), con 84 immobili nel savonese, 36 nell’imperiese e 30 nello spezzino. Tra gli immobili destinati, si mettono in evidenza i 77 nella provincia di Genova (68 nel comune di Genova), i 22 della provincia di Savona, i 20 della provincia della Spezia e i 3 della provincia di Imperia. 14 i beni destinati per finalità istituzionali, 74 per finalità sociali, 22 per il soddisfacimento di terzi creditori nell’ambito del procedimento di confisca, 1 per usi governativi. Sui restanti 11 beni destinati non si dispone di informazioni relative alle prospettive di riutilizzo.
Tra i beni ancora in gestione appaiono di speciale rilievo, per le vicende connesse al sequestro (anche in rapporto al complesso delle indagini sul radicamento criminale in Liguria), i 19 immobili ubicati nel comune di Bordighera, come le 28 unità che interessano invece il comune di Loano.
La fonte dei dati suindicati è il portale “Open Re.G.I.O.” dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati.
Con riferimento al comune di Genova, circa 40 immobili sono stati trasferiti all’ente nell’agosto del 2019, un’altra decina nella primavera del 2017. Tutti questi immobili provengono dalla confisca cosiddetta “Canfarotta”, il cui avvio giudiziario risale ormai al lontano 2009. All’inizio del 2018 il comune di Genova ha proposto un primo bando per l’assegnazione di due immobili afferenti a questo compendio, proseguendo poi nel 2019 con quattro avvisi pubblici di selezione relativi a un’ottantina di beni, all’epoca degli atti ancora facenti capo alla gestione dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati: 44 dei lotti assegnabili sono stati effettivamente aggiudicati, mentre per altri 37 la selezione non ha avuto buon esito. La vicenda dei beni confiscati alla famiglia Canfarotta ha trasformato il centro storico di Genova in un caso unico per la presenza straordinariamente densa e capillare (quasi pulviscolare) di immobili confiscati, ponendo altresì sfide difficilissime per il loro reimpiego in un contesto urbano già segnato da storiche fragilità. La situazione attuale si presenta come un interessante laboratorio, anche considerato l’impegno profuso da anni dall’associazionismo organizzato per gettare luce sull’urgenza di una prospettiva di riutilizzo per finalità pubbliche.
Particolarmente delicato appare in quest’ottica il tema degli oneri finanziari connessi al recupero dei patrimoni confiscati in gestione alle diverse amministrazioni dello Stato ed eventualmente destinati a finalità sociali: alcune delle esperienze più importanti finora emerse nel territorio ligure hanno potuto beneficiare esclusivamente di contributi privati (come nel caso di un progetto relativo a un bene di proprietà del comune di Sarzana). Ancora assente una vera e propria “regia” finanziaria da parte dell’ente regionale, pur in vigenza della legge regionale 7 del 2012 che impegna la Regione a sostenere enti pubblici e soggetti privati nell’ambito del riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
A tale proposito si segnalano i tre distinti stanziamenti, a valere sulle risorse allocate al Fondo strategico regionale per investimenti infrastrutturali, disposti in forza di altrettanti ordini del giorno approvati con voto unanime il 21 dicembre 2018, il 19 dicembre 2019 e il 23 dicembre 2020. In ognuna di queste circostanze il Consiglio Regionale ha infatti impegnato la Giunta a destinare 500.000€ per il recupero dei beni confiscati sul territorio ligure, con ciò dimostrando interesse e attenzione al tema. Tuttavia si segnala un’eccessiva dilatazione dei tempi: il primo dei tre stanziamenti, infatti, è stato effettivamente disposto dalla Giunta nei confronti del Comune di Genova nell’aprile del 2020.
Per concludere questa panoramica il 30 luglio 2020 l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati ha avviato un’istruttoria pubblica finalizzata all’individuazione di enti e associazioni cui assegnare, a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 48, comma 3, lett. c-bis, del codice antimafia, beni immobili confiscati in via definitiva, per la loro destinazione a finalità sociali. Tra i beni compresi nel bando rientrano 41 immobili ubicati nel Comune di Genova. La procedura non risulta ancora conclusa.
Il porto – anzi, i porti – di Genova
In più occasioni autorevoli fonti istituzionali come la DNA e la DIA hanno segnalato la centralità del Porto di Genova – e più in generale degli altri scali portuali liguri – come occasione per diverse realtà criminali di aumentare i propri profitti attraverso varie forme, in particolare con il traffico di stupefacenti e di materiale contraffatto. Anche il Procuratore di Genova, Francesco Cozzi, ha affermato che “Il porto di Genova, assieme a quello di Livorno, è diventato il nuovo crocevia dei traffici illeciti internazionali […] e ha preso il posto di quello di Gioia Tauro”.
Proprio le inchieste e le operazioni delle forze dell’ordine e della magistratura, spesso con la collaborazione delle agenzie investigative europee e internazionali, hanno consentito negli ultimi anni di intervenire e sequestrare ingenti quantitativi di stupefacenti e merce contraffatta scaricati nei porti liguri o da lì in transito. In questi traffici illeciti in numerose occasioni è stato confermato il coinvolgimento di soggetti ‘ndranghetisti, in particolare delle famiglie Alvaro e Bellocco, anche di elevato spessore criminale, che hanno partecipato a vario titolo: finanziando l’acquisto dai cartelli della droga (tendenzialmente cocaina proveniente dal Sud America), organizzando a distanza l’arrivo della merce in porto, sovrintendendo alle operazioni di trasbordo e di fuoriuscita del carico dal porto, trasportando parte dello stupefacente. Un ruolo rilevante, soprattutto nei casi in cui lo stupefacente era destinato ad essere scaricato a Genova, è stato ricoperto da operatori portuali infedeli che, grazie alle proprie conoscenze delle prassi operative all’interno dello scalo, hanno consentito la fuoriuscita dei carichi dall’area portuale anche ricorrendo a sofisticate strategie elusive.
Secondo la Relazione della Direzione Centrale dei servizi antidroga, nel 2018 il Porto di Genova è stato palcoscenico del più grande sequestro di eroina avvenuto in Italia e del secondo sequestro di cocaina. Un primato importante che si rinnova. La rilevanza del Porto di Genova, infatti, si conferma anche nel 2019, con numerose operazioni e sequestri:
- 31 gennaio: sequestro di 2 tonnellate di cocaina (operazione “Neve genovese”)
- 5 giugno: sequestrati 450.000 pacchetti di sigarette di contrabbando 10 giugno: sequestro di 10 tonnellate di prodotti contraffatti (profumi e farmaci)
- 14 giugno: sequestro di 100 kg di cocaina
- 4 luglio: sequestro di 538 kg di cocaina (Operazione Nevischio)
- 29 luglio: sequestrati 368 kg di cocaina (operazione “Buon vento genovese”)
- 2 ottobre: sequestro di 80 tonnellate di rifiuti di rame
- 10 ottobre: sequestro di 15 tonnellate di merce contraffatta (profumi)
- 14 ottobre: sequestro di 125 kg di cocaina (operazione “Chiamata”)
Per quanto riguarda il 2020, anche alla luce dell’emergenza Covid19, pare significativo evidenziare alcune importanti operazioni che hanno interessato gli altri porti della Liguria.
- 13 gennaio: sequestro di 330 kg di cocaina (operazione “Samba” nel porto spezzino)
- 5 febbraio: sequestro di 22 kg di cocaina nel porto di Genova Pra’ (operazione “Fiume di ponente”)
- 6 febbraio: sequestro di 3600 sacchi di pellets nel porto de La Spezia
- 16 marzo: sventata esportazione non autorizzata di d.p.i. nel porto di Vado Ligure
- 28 marzo: requisizione circa 50mila dispositivi medici per la terapia intensiva nel porto di Genova Pra’
- 28 marzo: requisiti oltre due milioni di guanti monouso nel porto de La Spezia
- 7 aprile: requisiti oltre 6mila litri di alcol etilico non denaturato nel porto di Genova Pra’
- 9 aprile: requisito un carico di circa 187mila paia di guanti in nitrile nel porto di Genova Pra’
- 15 aprile: requisiti oltre 3 milioni di guanti e oltre 64mila camici chirurgici sterili presso il porto di Genova Pra’
- 17 aprile: requisiti 5 milioni e mezzo di guanti nel porto di Genova Pra’
- 30 aprile: requisiti 15mila camici chirurgici nel porto di Genova Pra’
- 19 maggio: requisiti 20400 flaconcini di gel igienizzante nel porto di Genova Pra’
- 8 giugno: requisiti 130mila flaconcini di gel igienizzante nel porto spezzino
- 29 giugno: sequestro 800mila guanti nel porto di Genova Pra’
- 2 luglio: requisiti 121230 indumenti protettivi monouso nel porto di Genova
- 8 ottobre: operazione ADM e GDF a contrasto dei traffici illegali di beni artistici e culturali nel porto de La Spezia
- 21 dicembre: blocco importazione merce contraffatta nel porto di Genova Pra’
Conclusioni e proposte: per una Liguria libera da mafie e corruzione
Lo scenario descritto, seppur sommariamente, richiama la comunità ligure ad avere sempre maggior attenzione rispetto al radicamento delle organizzazioni mafiose sul territorio, e a dimostrare con atti concreti la volontà di immaginare un futuro diverso per la nostra regione. Questo è ancor più vero se si tiene conto del particolare momento storico che stiamo vivendo. Voci autorevoli, come la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, la Banca d’Italia e il ministero dell’Interno, hanno già segnalato i pericoli concreti a cui andiamo incontro, nella gestione degli appalti e delle risorse finanziarie. Mafie, corruzione, criminalità economica e ambientale sanno sfruttare l’allentarsi delle regole, in nome di una legittima urgenza ma approfittano anche dell’acutizzarsi delle povertà, per conquistare consenso sociale e riciclare i capitali accumulati illegalmente, anche attraverso l’usura. Anche per questo Libera, insieme a tante associazioni, organizzazioni sindacali, rappresentanti di enti locali e del mondo delle imprese ha promosso nei mesi scorsi #GiustaItalia, un patto per la ripartenza fondato sull’etica della responsabilità. Richiamandosi allo spirito e ai contenuti di quel documento, il coordinamento di Libera in Liguria sottopone all’attenzione della Commissione tre questioni fondamentali per il futuro del nostro territorio, già oggetto di confronto pubblico durante la scorsa campagna elettorale.
1) Beni confiscati
I beni confiscati possono e devono rappresentare una straordinaria occasione per il territorio. Anche in Liguria le esperienze di riutilizzo sociale sono ormai una positiva realtà, ma si può fare di più. Ancora troppi i beni confiscati inutilizzati, ancora troppe le criticità che ostacolano il pieno ed effettivo riutilizzo sociale dei beni già acquisiti dagli enti locali. Nell’ultimo quinquennio qualcosa è stato fatto, con positivo spirito di collaborazione tra gruppi di maggioranza e di opposizione, ma ancora non basta. Chiediamo quindi la predisposizione di congrui fondi regionali per il recupero, ristrutturazione e rifunzionalizzazione dei beni confiscati alle mafie, dando così piena attuazione alla legge regionale n.7/2012. Chiediamo, inoltre, che possano essere intraprese progettazioni europee per la programmazione 2021\2027, in ottemperanza all’obiettivo di policy num. 5 “Per un’Europa più vicina ai cittadini”, prendendo in considerazione alcune delle indicazioni presenti nella “Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione”.
2) Appalti
Garantire trasparenza e legalità negli appalti pubblici è condizione imprescindibile affinché la ripartenza sia giusta e equa. Per questo chiediamo che a regolare l’assegnazione degli appalti pubblici sia la qualità anziché il principio del massimo ribasso, che sia rafforzato il ruolo di Regione Liguria come centrale unica di committenza, che sia garantito il rispetto dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, e che siano favoriti confronti preventivi tra committente e organizzazioni sindacali sulla costruzione dell’impianto dell’appalto.
3) Ciclo dei rifiuti
Il ciclo della gestione dei rifiuti rappresenta un settore di grande interesse per le organizzazioni criminali, anche in Liguria. Continua infatti ad essere elevato per i Comuni il rischio di permeabilità ad attività illecite, come già ricordava la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti che visitò la nostra regione nel 2016. Per questo è necessario razionalizzare il numero di aziende che operano sul nostro territorio vagliandone con attenzione la storia e la certificazione antimafia, chiudere il ciclo dei rifiuti con impianti moderni evitando il “turismo dei rifiuti” portati fuori regione, aumentare la raccolta differenziata e vigilare con attenzione sugli smaltimenti dei rifiuti speciali e sulle bonifiche. Su questi aspetti il ruolo pianificatore della Regione può essere fondamentale.