Nell’anniversario della legge 109 del 1996 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie voluta da Libera, l’associazione stila un bilancio del percorso fatto ed evidenzia i nodi irrisolti. Con 10 proposte politiche da cui ripartire

Quest’anno Libera compie 25 anni: fare un bilancio di una delle battaglie fondanti dell’associazione era d’obbligo”, spiega Tatiana Giannone della segreteria nazionale dell’associazione. Appena nata, nel 1995, la rete nazionale di Libera promosse una petizione popolare che fu firmata da oltre un milione di cittadini e che portò, l’anno successivo, all’approvazione della legge 109 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Una legge che negli anni ha fatto strada fino a essere presa a modello dall’Unione europea che con la direttiva 42 del 2014 ne ha chiesto l’applicazione a tutti gli Stati membri.

Il principale sforzo di questo bilancio è stato il tentativo di mappare le pratiche di riutilizzo presenti sul territorio italiano così da restituirne una fotografia che finora nessuno aveva scattato. Sono stati presi in esame tutti i beni in gestione al terzo settore e agli enti pubblici quando utilizzati per l’erogazione dei servizi di welfare. Dalla mappatura rimangono invece esclusi i beni riutilizzati per scopi istituzionali e di pubblica sicurezza. “Purtroppo il dato non è scientifico perché manca una mappatura istituzionale”, fa sapere Giannone. “Il bilancio sociale è però sicuramente positivo, soprattutto dal punto di vista della rete che in questi anni si è creata. Certo non è il massimo a cui possiamo puntare: servono procedure più snelle e una maggior attenzione ai bisogni dei territori”.

Dati e traguardi

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I principali soggetti gestori

Secondo la mappatura realizzata sono 885 i soggetti del terzo settore e della cooperazione sociale che hanno avuto in assegnazione beni mobili, immobili e aziendali confiscati alle organizzazioni criminali. La maggior parte sono associazioni e cooperative sociali, ma ci sono anche enti ecclesiastici e pubblici, gruppi scout e scuole. Tra le finalità compaiono l’inclusione sociale, la promozione cooperativa, l’economia solidale, l’aggregazione giovanile, la rigenerazione urbana, culturale e ambientale.

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Se si guarda, invece, alle esperienze di riutilizzo il totale nazionale è di 865 perché può succedere che più soggetti gestiscano assieme uno stesso bene. Esperienze di riutilizzo sociale sono presenti in quasi tutte le regioni. Rimangono escluse solo Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Molise. Al primo posto svetta la Sicilia con 204 esperienze. Il terzo posto, dopo la Calabria (162) e prima della Campania (143), è per la Lombardia con 158 esperienze mappate.

I nodi irrisolti

Due i problemi principali individuati e su cui lavorare. Primo: la trasparenza e l’univocità dei dati sul riutilizzo. “Il portale OpenRegio dell’Agenzia nazionale fornisce i dati sui beni mobili e immobili e sulle aziende sequestrati e confiscati. Ci sono poi le relazioni dei ministeri competenti o della Direzione investigativa antimafia che però non sempre utilizzano gli stessi dati”, spiega Giannone. Confrontare i dati è quindi un’operazione complessa. Quanti sono i beni affidati e a che punto sono i progetti di riutilizzo? I fondi europei sono stati tutti attivati? Queste alcune delle domande alle quali ancora manca una risposta. Sebbene il codice antimafia e gli obblighi di pubblicità e trasparenza prevedano l’istituzione dell’elenco dei beni confiscati e assegnati presso ogni comune, ad oggi, infatti, non tutte le amministrazioni si sono adeguate.

Come se non bastasse, le informazioni sui beni destinati sono piene di lacune. Innanzitutto, secondo l’Agenzia nazionale ci sono ad oggi 16.446 beni immobili destinati, un numero che si riferisce tuttavia alle particelle catastali, non a unità immobiliari complesse. Un unico grosso calderone in cui rientrano beni già destinati per scopi istituzionali o sociali, ma anche immobili assegnati ai comuni e non ancora riutilizzati.

Secondo: la necessità di una progettazione partecipata. “Per un riutilizzo sociale ottimale bisognerebbe poter incrociare la domanda e l’offerta di beni confiscati immaginando a monte cosa potrebbero diventare”, afferma Giannone. Altrimenti, il rischio concreto è quello di sprecare importanti occasioni per i territori o imbarcarsi in ristrutturazioni di immobili che non avranno mai una seconda vita. Partire da un’analisi dei bisogni della comunità è conveniente anche da un punto di vista economico. Così come sarebbe importante intervenire già in fase di sequestro: “Spesso ci ritroviamo con beni che arrivano a confisca dopo anni di sequestro completamente deteriorati. E non è un problema solo monetario: ci sono territori in cui è fondamentale dare subito un forte segnale di cambiamento e discontinuità con le precedenti pratiche mafiose”. Anche questo aspetto, però, così come la progettazione partecipata tra comuni e realtà del terzo settore, è al momento lasciato alla sensibilità e alla lungimiranza dei singoli, mentre mancano pratiche istituzionalizzate.

10 richieste politiche

Sulla base di questo bilancio l’associazione è arrivata a formulare 10 proposte politiche, tra cui una piena implementazione del Codice antimafia e maggiori risorse e professionalità per l’Agenzia. Di seguito le richieste:

di Francesca Dalrì Redattrice lavialibera

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