Su 1076 comuni monitorati 670 destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco e informazioni sul loro sito internet . Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente
A livello regionale la Liguria tra le più “virtuose” con 7 Comuni su 14 che pubblicano l’elenco.
Tra le aree metropolitane, su cui è stato realizzato un focus specifico, ottima la performance di Genova, preceduta solo da Milano.
Libera presenta “RimanDATI” il primo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino
Primo appuntamento di una serie di iniziative in occasione dell’anniversario dei venticinque anni dall’approvazione della Legge 109/96
I comuni italiani “rimandati” sul livello di trasparenza della ‘filiera” della confisca dei beni mafiosi: su 1076 comuni monitorati 670 destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco sul loro sito internet. Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente. E di questi, la maggior parte lo fa in maniera parziale e non pienamente rispondente alle indicazioni normative. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 392 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più “virtuose” Basilicata, Marche, Emilia Romagna, Liguria e Lazio. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria,Trentino Alto Adige, Abruzzo, Sardegna,Toscana e Campania.
Libera presenta “RimanDATI” il primo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, primo appuntamento di una serie di iniziative in occasione dell’anniversario dei venticinque anni dall’approvazione della Legge 109/96.
Il Report di Libera vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. Eppure, proprio a livello comunale le potenzialità della ‘filiera della confisca’ sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni.
La base di partenza del lavoro di monitoraggio- spiega Libera– coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati”i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio è quello più immediato e risponde alla semplice domanda: quanti comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge?
Su 1.076 comuni monitorati ben 670 comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge, pari al 62% del totale. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 392 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più “virtuose” coloro che raggiungono o superano il 50% dei comuni che pubblicano elenco registriamo la Basilicata con il 67% dei comuni che pubblicano elenco, Marche con il 60%, Emilia Romagna e Liguria con il 50% dei comuni e Lazio che con il 49% si avvicina di molto. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria dove solo il 14% dei comuni pubblicano elenco, Trentino Alto Adige (25%) Abruzzo (26%) Sardegna(27%) Toscana (31%) Campania (34%). Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione. Il formato aperto consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza.
La ricerca ha evidenziato in maniera piuttosto evidente come la logica degli open data sia ancora estranea alla stragrande maggioranza degli enti monitorati. Solo il 14% dei comuni (56 in totale) presenta PDF formato aperto che consente infatti una fruibilità totale da parte dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza. Ben 97 comuni, pari al 24% del totale presenta un PDF immagine (frutto cioè di semplici scansioni) o totalmente chiuso che sono totalmente inservibile nella logica ricercabili open data. Il monitoraggio ha riguardato anche altre informazioni fondamentali sulla vita del bene confiscato: il 35% dei comuni non specifica tra destinazione istituzionale o sociale, il 17% non specifica ubicazione. Inoltre il 46% dei comuni non presenta informazioni sulla metratura o sugli ettari del bene confiscato.
“Il report – commenta Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera- analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza; potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di un onere amministrativo, ma come un’opportunità di “buon governo” del territorio. Quando riconsegnati alle autonomie locali, i beni confiscati alle mafie rappresentano una questione eminentemente politica e per deciderne efficacemente il destino occorre favorire forme innovative di organizzazione sociale, economica e istituzionale ispirate ai principi della pubblica utilità e del bene comune. Se questo è vero, ne discende che la conoscibilità e la piena fruibilità dei dati, delle notizie e delle informazioni sui patrimoni confiscati non possono che essere a loro volta considerati elementi di primaria importanza. Ecco – conclude Davide Pati -perché insistiamo nel ritenere che la trasparenza, anche in questo ambito, debba e possa essere considerata anch’essa un bene comune, in ciò confortati dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli Enti Locali di mettere a disposizione di tutte e di tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che, nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni inadempienti. “
La ricerca analizza nello specifico le modalità di pubblicazione degli elenchi anche su scala regionale. Sui 406 comuni che hanno pubblicato elenco abbiamo costruito un ranking mediato nazionale: su una scala da 0 a 100 la media è pari a 49.11 punti. La fotografia regionale ci restituisce un quadro generale di grande criticità. Sono 11 le regioni che sono al di sotto della media regionale e “rimandati” sulla modalità di pubblicazioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia, Umbria con valori che variano da una media 42 a 48. Bocciate Sardegna, Molise,Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta.
Per mettere in luce la potenzialità di questi dati e le azioni di cittadinanza attiva è stato realizzato un focus su alcuni capoluoghi di regione: ottime le performance di Milano (90.43), Genova (80.87), Roma(80.87) e Napoli(76.52). Oltre la sufficienza Reggio Calabria(65.22) e Palermo (61.72).Solo Bologna(42.61) e Firenze (46.96) non riescono a superare la media di 49.11 del ranking nazionale. In particolare Milano presenta un elenco è regolarmente disponibile alla voce “beni immobili e gestione patrimonio” della sezione Amministrazione Trasparente del sito internet istituzionale del Comune. È pubblicato correttamente in un link specifico e risulta regolarmente aggiornato. Anche Genova presenta un elenco pubblicato nel formato PDF ricercabile e contenente gli estremi che permettono di individuare il soggetto gestore del bene. È importante ricordare come il Comune di Genova abbia sperimentato, per la prima volta in Italia, una procedura di bando innovativa, in collaborazione con l’ANBSC. In particolare, il Comune ha promosso una procedura di evidenza pubblica per reperire progetti di riutilizzo sociale prima di fare la manifestazione d’interesse presso l’Agenzia.
Così Stefano Busi, referente Libera Liguria: “I buoni risultati raggiunti tanto a Genova quanto in Liguria non sono frutto del caso, ma di un paziente e puntuale lavoro territoriale. Da molti anni, anche attraverso il sito http://mafieinliguria.it/beni-confiscati/, ci impegniamo per informare la popolazione rispetto alla presenza dei beni confiscati sul territorio. Non va dimenticato, inoltre, il grande contributo offerto a livello genovese – e in particolare nel centro storico cittadino – dalla rete del “Cantiere per la legalità responsabile”, che ha saputo stimolare l’Amministrazione Comunale a partire dal 2014. Molto ancora resta da fare, se pensiamo che la metà esatta dei comuni non pubblica alcun dato.”
Sotto la media Bologna con l’elenco che non presenta tutte le caratteristiche richieste dall’articolo 48 del Codice Antimafia. C’è una descrizione generica dei pochi immobili nel patrimonio comunale, che non permette di approfondire la ricerca. Non è possibile risalire alla data precisa di aggiornamento del documento, ma si ritrova una generica indicazione nella pagina dedicata al patrimonio immobiliare. Segue Firenze, forse anche in ragione dell’esiguo numero di beni destinati, l’elenco risulta piuttosto scarno. Non contiene alcuna informazione specifica sulla tipologia degli immobili e manca qualsiasi riferimento agli atti amministrativi che ne disciplinano il riutilizzo. Inoltre, l’elenco è pubblicato in formato chiuso (PDF).
Quando parliamo di trasparenza delle informazioni sui beni confiscati da parte degli Enti Locali- conclude Libera- dobbiamo necessariamente prendere atto di come ci sia ancora tanto lavoro da fare per raggiungere un quadro almeno di sufficienza e avere a disposizione dati soddisfacenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo Ecco perché abbiamo detto “rimanDATI”. L’esito di questo “esame” cui abbiamo sottoposto i comuni ci impone di fare come per gli studenti e le studentesse che non riescono a superare a pieni voti l’anno scolastico e che, per questo, vengono “rimandati a settembre”. Il nostro esame di riparazione dovrà avere i tempi e i modi di un’azione civica che induca i comuni a conformarsi pienamente a quanto impone loro la legge. Il nostro non vuole essere un giudizio tranchant, una bocciatura perentoria. Al contrario, noi chiediamo dati pubblici e di qualità perché siamo convinti che essi ci permettano di prenderci cura di un bene comune oltre la logica del mero accesso civico, in un clima positivo e costruttivo di cooperazione con le amministrazioni. Conosciamo bene del resto la complessità della materia e le difficoltà che gli Enti Locali sono costretti ad affrontare quotidianamente, sia in termini di carichi di lavoro che di risorse umane e di competenze a disposizione. Ma siamo convinti che, insieme, si possano e si debbano trovare le soluzioni utili a garantire la trasparenza. Con lo stesso spirito di costruzione e cooperazione, avanziamo alcune proposte politiche che, a partire dal miglioramento delle condizioni e dei livelli di trasparenza dei comuni, incidano sulla possibilità di rendere sempre più i beni confiscati, attraverso il loro riutilizzo sociale, palestre di vita e beni comuni:
Chiediamo all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata un documento di indirizzo da inviare a tutti gli enti destinatari di beni confiscati con un vademecum dettagliato sulle modalità di pubblicazione e sui contenuti degli elenchi da pubblicare, anche fornendo un modello comune in grado di uniformare sul piano nazionale la pubblicazione.
Chiediamo che l’attuazione dei principi della trasparenza diventi pratica condivisa non solo per le amministrazioni comunali, ma anche e soprattutto per tutte le amministrazioni pubbliche che, a vario titolo, si intrecciano con la storia del bene.
Chiediamo che sia garantito un maggiore coordinamento e scambio lungo tutta la filiera istituzionale del bene confiscato, che consenta poi una risoluzione veloce delle criticità e una trasparenza del dato.
Auspichiamo che le Politiche di coesione e i fondi ad esse correlati possano diventare sempre di più uno strumento di emancipazione e di sviluppo per le comunità.